[ ANTOLOGIA ]

11 - Il mito: Carlos Gardel

   Gardel non era unicamente la sua voce né l'impatto emozionale che questa voce rappresenta per qualunque ascoltatore. In una cronaca pubblicata da un quotidiano argentino si legge: "C'è un altro Gardel: un Gardel che sta più in là della sua arte e di ciò che il suo nome significa nella musica della città rioplatense. Un Gardel che, come ha fatto notare Arturo Romay, non era un santo né un saggio né uno scrittore geniale né un glorioso soldato, bensì semplicemente un cantante, un uomo che cantava e sorrideva… La cui vita però si trova talmente circondata da enigmi e misteri che subito devierà in leggenda, trasformerà il suo ricordo in mito…"

   In questo modo Gardel si offre agli occhi della posterità come un costante enigma. Le versioni più contraddittorie e confuese si associano al suo nome e a un tal grado che sembra impossibile verificare dove sia la verità, dove incominci la favola. A tanti anni dalla sua morte ancora si ignora dove nacque e, se il certificato di morte stabilisce che "… si dette sepoltura religiosa al cadavere di CARLOS GARDEL, adulto, scapolo, abitante dell'Argentina da quaranta anni più o meno…" lo stesso Gardel, in una volontà su alcuni suoi beni che concede a un suo amico in Montevideo e che sembra certificato dal notaio, afferma: "Oggi 30 di Ottobre del 1933, io Carlos Gardel celibe, uruguaiano, dichiaro al Signor Ricardo Bonapelch la proprietà di…"

   Senza dubbio, questo documento non è una prova definitiva e secondo Isabel Maria del Campo: "Gardel era francese, tanto che il suo ritorno in Europa avrebbe potuto causargli seri inconvenienti giacché, con la prima guerra mondiale recentemente terminata, sarebbe potuto essere considerato disertore. Sollevato il caso, non mancò un amico influente che si offrì di procurarsi, senza alcun obbligo, la documentazione necessaria. Così fu fatto e da lì parte il mito che Gardel fosse oriundo di Tacuarembò …"

   Contro queste parole, un altro cronista scrisse: "Perché Gardel non dichiarò di essere argentino invece che uruguaiano se, come si afferma, il suo unico problema era la Francia e il pericolo di essere dichiarato disertore? Inoltre il passaporto di Gardel (Serie D.02421), che si trovò insieme al cadavere semi-bruciato permette di stabilire che non fu rilascaita né a Buenos Aires né a Montevideo, bensì proprio in Francia, nell'Ufficio Consolare di Nizza. Il che vuol dire che Gardel già stava in Francia…"

   Però in uno dei documenti che apparentemente offrono maggior garanzia di serietà, si può leggere quanto segue: " REPUBBLICA FRANCESE, MUNICIPIO DI TOLOSA. Estratto del Registro di Stato Civile. L'undici di Dicembre del 1890 alle due nacque Charles Romualdo Gardes, nell'Ospedale della Grave, figlio di padre sconosciuto e di Berta Gardes, stiratrice, nata a Tolosa e domiciliata in via Cañon de Arcole N. 4. Verbale redatto l'undici di Dicembre alle ore 14, secondo la dichiarazione di Jenny Bazin, ostetrica di questo ospedale… "

   Questi dati, appartenenti a un supposto certificato di nascita del cantante, sembrano confermarti dal suo testamento olografo: "Sono francese, nato a Tolosa il dieci Dicembre del 1890, e sono figlio di donna Berta Gardes. Faccio espressamente presente che il mio vero nome e cognome è Charles Romualdo Gardes, ma a motivo della mia professione di artista ho sempre adottato e usato il cognome di Gardel e con questo cognome sono conosciuto ovunque…"

   Nonostante tutto, sia il testamento olografo sia il certificato di nascita che si attribuiscono a Gardel non sono serviti per svelare l'incognita. Secondo Erasmo Silva (Avlis): " Gardel fu iscritto nel dipartimento di Tacuarembò (Uruguay) nel 1893 come figlio di donna Maria Berta Gardes, però senza che lo fosse realmente. Non è la prima volta, ovviamente, che una donna estranea alla nascita di un figlio, si faccia carico di ciò.; e nemmeno è la prima volta che una madre consegna suo figlio a un'altra persona per evitare che, a causa di un errore nella sua vita intima, sia colpita la sua posizione sociale…"

   Una versione somigliante permetterebbe di supporre che Gardel era figlio adottivo di Berta Gardes e a beneficio di tale tesi il commentatore appena citato spiega: "Mai Gardel fu fotografato con la sua presunta madre; giammai viaggiò con ella e fu abbandonato durante la sua infanzia. Dopo aver girato come orfano, presumibilmente visse nel Barrio Sur di Montevideo in due case-famiglia e a Buenos Aires. Là, da adulto, verso il 1930, comprò una casa in via Jean Jaures e poco o niente ci stette la sua madre adottiva. È esageratamente strano che recentemente dopo la sua morte si sia parlato e scritto di Maria Berta Gardes, e non durante la vita del cantante…"

   Una simile opinione sembra sorgere da una cronaca pubblicata in una rivista argentina che fu intitolata ' Il gran mistero'. Dove si dice: "… per la vecchia amicizia con Gardel potei entrare nella casa di Jean Juares e poi ottenere vari appunti grafici con pose del 'Mago' che vedendo passare M.B.Gardes gli disse: "Carlitos, dì a tua mamma che venga e ti facciamo una foto con lei". "No, questo no!" fu la risposta di Gardel, tanto veloce come in tono di estremo nervosismo. Poi, come rendendosi conto della sorpresa che aveva causato al suo ospite, volle spiegare in qualche maniera il rifiuto. Non manca di sorprendere, a parte questo incidente, che Gardel non abbia mai viaggiato con Berta Gardes, che non si fosse visto per le vie di Buenos Aires o Montevideo con lei…"

   Per Avlis c'è un fatto che permetterebbe di spiegare perché si nascose sempre la nazionalità di Gardel: "Dire che Gardel sia nato a Tacuarembò (come lo provano le sue credenziali civiche, come lo prova anche la sua dichiarazione di proprietà di fronte alla giustizia uruguaiana) implicava dire che Berta Gardes non era sua madre, che aveva solo adottato il bambino, e per difendere questa posizione, si rendeva necessario rimuovere una storia che giustamente si voleva nascondere. Per questo potevano emergere nomi, testimonianze e tutto quanto si era mantenuto segreto durante tanti anni. Per questo si sarebbe dovuto dare nome alla vera madre di Gardel, il che obbligava a raccontare come e quando il bimbo vide la luce, chi era il progenitore, etc…"

   Però non fu solo la nazionalità di Gardel a favorire la leggenda, le versioni più bizzarre o strane. Un 24 giugno del 1935 il cantante muore in un incidente aereo le cui cause non poterono mai essere precisate. Secondo Mario Sarmiento: "Gardel, i suoi chitarristi e alcuni amici viaggiavano nel F-31, un aereo della compagnia SACO (Società Aerea Colombiana), che avevano preso espressamente per fare il viaggio da Bogotà a Cali, facendo scalo a Medellin per fare rifornimento di combustibile. 14 minuti prima delle ore 15, apparve l'F-31.La folla che aspettava impaziente, applaudì a Gardel. Fecero più di dieci minuti di sosta, mentre l'aereo Maniazules aspettava che l'F-31 lasciasse la pista libera per decollare. Gardel e i suoi amici salgono poco dopo sull'F-31; si accendono i motori, i passeggeri si allacciano le cinture, i presenti sulla pista danno l'addio a Gardel con i fazzoletti bianchi e l'F-31 attraversa la pista IN PERFETTE CONDIZIONI. Si vide allora passare l'aereo in cui viaggiava Gardel davanti al Maniazules, che continuava ad aspettare. Di colpo successe qualcosa di imprevisto, qualcosa che fece precipitare a terra l'F-31 andando a schiantarsi contro il Maniazules. Fu un violentissimo scontro, con un frastuono di ferri che andavano in pezzi. I due aerei sembravano due giganteschi mostri in lotta…"
    Cosa era successo? Un cablogramma di quei giorni descrive: "Un colpo d'aria deviò l'aero su cui viaggiava Gardel dalla traiettoria. Il pilota perse il controllo dell'apparecchio. Fino a che, in un ultimo sforzo, cercando di evitare dei grandi serbatoi di combustible, volle virare - e con tale sfortuna - precipitando sull'altro apparecchio là fermo…"
    Il fatto non fu del tutto chiaro, senza dubbio. Mario Sarmiento ricorda per esempio che: "…qualcuno fece circolare voce che, in conseguenza di uno sparo tra Gardel e il pilota, quest'ultimo abbia ammazzato lui o viceversa, e questa fosse la vera causa dell'incidente…"
    Molti anni dopo si conobbe una versione di contorni più oscuri e drammatici: "Si dice che Le Pera, litigato con Gardel per ragioni economiche, abbia sparato un proiettile contro il cantante e che Gardel, schivandolo prontamente, evitò di essere ferito, sebbene la pallottola colpì mortalmente il pilota che perse il controllo dell'apparecchio che precipitò. Non c'è nessuna prova concreta dell'autenticità di tale rapporto che, secondo certe voci, sarebbe provenuta da Jose Maria Aguilar…"

    L'unica cosa che pare certa, quello che rimase come informazione concreta, reale, dopo la catastrfe, è che: "… il corpo di Samper Mendoza, pilota dell'aereo, era completamentee carbonizzato, con le braccia in alto e nella mano destra impugnava una pistola da cui era stato sparato un colpo. Il cranio, sebbene completamente bruciato, lasciava vedere un foro da cui era penetrato un proiettile. Si suppone che davanti all'imminente pericolo di morire bruciato, il pilota preferì suicidarsi…"
    Questa congettura offre un tratto di oscurità, da ciò che si evidenzia in una cronaca giornalistica: " Une delle notizie circa l'incidente è che il cranio del pilota mostra nella parte della nuca un foro di proiettile. È ragionevole allora supporre che il pilota si suicidò quando in verità il proiettile, per la stessa posizione del corpo, sembra essere arrivato da dietro? …"

    Anche la morte di Gardel ha suscitato argomenti per la leggenda e il mistero. Incluso, ricorda Isabel Maria del Campo che, col tempo, "… dovrà diffondersi la storia che c'è in Centro America un cantante incappucciato la cui faccia è sfigurata e che sorprende per la somiglianza della sua voce con Gardel. Si dice che tale cantante non è altri che il 'Mago', che si salvò dall'incidente e che preferisce vivere come uno sconosciuto, senza che nessuno lo riconosca nel suo deprecabile stato attuale…"

    Un po' al di là della leggenda, Gardel rappresenta una rivoluzione e un progresso dentro al tango: " …definì integralmente il modo di cantare il tango fino ai nostri giorni", nota Ferrer. E aggiunge: "Esiste un effettivo parallelismo nella comparsa dei contributi apportati da Gardel e Julio De Caro. Entrambi introducono nel genere il fraseggio e lo definiscono negli aspetti vocali e strumentali con identico senso. "
   
Da questo si può dire (e come lo stabilisce l'autore citato) che a Gardel toccò il compito "… di fissare tutte le norme che, in materia di canto, sono state adottate (…). La sua maniera di affrontare il testo argomentato - dai suoi primi interventi come solista - , il modo che impose di fraseggiarlo, la sua maniera di declamare musica e testo continuano ad essere attuali quaranta anni dopo la sua novità creativa. Inutile dire che tutti questi elementi che Gardel rappresentava nel suo inconfondibile stile nel cantare il tango, furono assorbiti spontaneamente attraverso la sua tipica personalità - un misto di furfante e di padrino - dalla più pura fucina di attitudini popolari. Sotto il suo influsso vennero emergendo altri cantanti (…) i quali sentirono potentemente la quasi inevitabile attrazione dei suoi modi…"

    Però il caso Gardel non si esaurisce in questa spiegazione. Dopo essere descritto o spiegato l'impatto che la sua voce rappresenta, rimane in piedi il fatto che Gardel - più che il miglior cantante di tango - è il Tango stesso, con la maiuscola. Tale identità col generegià era stata prevista dal proprio cantante: "La mia fama non è mia; è del mio paese, della mia gente. Quello che applaude il pubblico non è Carlos Gardel, è la nostra arte popolare che, per un felice caso, è toccato a me interpretare, lo stesso che avrebbe potuto fare qualsiasi altro cantante americano…" "Io non sono nessuno. È il tango che trionfa."

    La condizione di interprete del popolo è stata avvertita anche da Arturo Romay: "…lo sfondo lirico e romantico delle moltitudini parlava in lui con voce privilegiata e loro la riconoscevano come propria…"

    Così, la seduzione che il cantante esercita attraverso il disco non diminuisce per l'acquisita conoscenza del suo repertorio. Ed è di più. Parte di tale apogeo deve forse spiegarsi con ciò che Gardel significa come modello di un comportamento criollo, porteño; col suo proprio carattere, con i doni di simpatia e cordialità con i quali amici e conoscenti lo ricordano continuamente.

    Edmundo Guibourg [giornalista, storico, critico teatrale, regista argentino, grande amico di Carlos Gardel] scrive: "Strano e irresistibile influsso di simpatia. Ho visto notabili intellettuali e artisti europei cercare l'amicizia di Gardel continuamente, tanto era comunicativo. Non dimenticherò mai che mentre si vestiva nel suo camerino del Palace a Barcellona, lo aspettava il patriarca Santiago Rusiñol, desideroso di fare due chiacchiere dopo al caffè e soddisfatto l'illustre vecchietto di abbeverarsi a quella immanente allegria del cantante. Né dimenticherò quando Pierotti venne a cercarmi in affanno, perché Jacinto Benavente [drammaturgo spagnolo] aveva invitato Gardel a pranzo al Capucines e questi mi reclamava urgentemente in aiuto alla sua tormentata timidezza…"

    Da parte sua, Elias Alippi [attore, impresario, regista di cinema e teatro, argentino] lo ricordò così quando venne a sapere della morte del cantante: "Sono stato molto amico di gardel. Però chi è che avendolo conosciuto un po' non sia sentito molto amico suo? Aveva il dono di una simpatia straordinaria che mi conquistò completamente e che fu la base di una grande amicizia."

    L'immagine del ragazzo buono e simpatico, infinitamente gradevole, si scorgein queste parole di Mona Maris [attrice]: Con Gardel fummo grandi amici, però io gli devo qualcosa di più grande dell'amicizia. Quando gli affanni degli anni e le abitudini avevano rovinato la mia anima lasciandomi come esiliata, senza sapere se sentirmi argentina o americana, Gardel fu lo stimolo che mi ha fatto ricongiungere alla mia patria. Mi sentì come nuova, come con una passione e una cittadinanza inedite…"
    E più avanti aggiunge: "Carlos era essenzialmente maschile; il suo fascino virile lo rendeva simpatico agli uomini del nord, per i quali questa caratteristica non causa invidia ma simpatia. Posso dire che gran parte degli ammiratori di Gardel erano uomini. Le donne andava in delirio per lui fino a sommergerlo di ammirazione. Però il temperamento degli americani non era il più conveniente per questo ragazzo sensibile, di profondità spirituale sincera cordialità."

    Tanto che Celedonio Flores ribadisce: "Gardel aveva il dono della simpatia, era la cordialità personificata (…) ci davamo del tu fin dalla prima volta che conversammo. Mi mandò a chiamare un giorno tramite un amico comune. Un giornale aveva pubblicato una mia composizione, Margot, che gli piacque molto. Mi chiese di scrivergli alcuni testi e gli portai Mano a mano, che gli lessi io stesso. Gli piacque tanto che dopo mi assillava di richieste. Ogni volta che andavo a casa sua mi riceveva con la stessa domanda: 'Ehi, moro, c'è niente di nuovo per me? "

    La vita di Gardel è, in certa misura, la vita del tango. E come il tango, doveva passare un giorno dalla periferia al centro, fino ad arrivare in Europa. Carlos de la Pua [poeta e giornalista] ricorda che: " … molto prima che il successo straordinario di Gardel travolgesse il pubblico delle grandi capitali e che il suo nome fosse il magico grimaldello che aprirà tutte le porte del successo, Carlito aveva un soprannome a Buenos Aires che solo i suoi amici intimi ricordano.: lo chiamavano El Morocho e fu famoso con esso in tutte le balere dei sobborghi e in tutte riunioni di sfaccendati della città …"

    Questa origine umile di Gardel è statasottolineata da una moltitudine di scritti: "I primi anni che passò nel nostro paese furono estremamente poveri. La madre lavorava nella stireria di donna Anais B. de Muñiz, con cui vive attualmente (1935). A quattro anni Carlitos fu sistemato da Berta Gardes nella casa di un'amica: la signora Rosa C. de Franchini, dove visse come figlio per cinque anni. (…) Dall'età di otto anni a quando sarebbe stato un artista famoso, lavorò nei più vari mestieri. Piccole faccende in una cartoneria, apprendista tipografo, apprendista gioielliere, tutta una gamma di compiti umili. Fu sempre inquieto e frequentemente spariva da casa e, in una di queste scappatoie, lo si trovò al porto a vendere fiammiferi. (…) A quattordici anni intraprese un viaggio a Montevideo e per sei anni si pensò fosse morto. Tornò trasformato in un uomo e con questo dono supremo del canto, che dovrà convertirlo in idolo popolare…"

    Un altro articolo giornalistico ( de La Nacion) ricorda: "I suoi inizi furono quelli di tutti, nei caffè e locali di penoso divertimento notturno. (…) C'era, nel momento in cui apparse, un cantantedi fama già ben radicata in più vasti circoli: Jose Razzano. Era proverbiale che non c'era nessuno che l'avrebbe uguagliato. Qualcuno che l'aveva ascoltato nel quartiere, assicurava che Gardel era migliore. Per quelli che seguivano il cantante allora più popolare, ciò non era possibile. Molte volte si è parlato del 'confronto', noto nelle manifestazioni del genere, che li posero uno di fronte all'altro. E i due cantavano tanto bene, tanto insuperabilmente, Razzano con il suo sicuro dominio da veterano della chitarra e della canzone, Gardel con la sorgente giovanile della sua voce, che è risaputo che quella notte non ci fu vincitore né vinto, e da quella notte nacque il duo Gardel-Razzano che ottenne quindici anni di popolarità eccezionale…"

    A questo periodo si riferiva Carlos de la Pua quando scrisse queste parole: "Con l'amica chitarra sotto il braccio e e il fazzoletto sventolantecome una bandiera d'avventura, molte mattine porteñas videro il Morocho tornare portando nel poncho una gorgogliante speranza e nel fondo delle tasche pochi folli spiccioli. Totalmente bohemien, tutti i quartieri della città conobbero il suo canto generoso, i magazzini, i locali, le case degli amici furono il palcoscenico dei suoi primi chiassosi successi…"

    Tra i palcoscenici deve essere incluso quello del Armenonville, famoso cabaret situatoin Avenida Alvear angolo Tagle. Gardel insieme a Razzano, si ritrovavano nel cabaret in compagnia di qualche amico e dopo una notte di canzoni, bicchieri, risate. Fu allora che fu offerto lavoro al duo. "…pagandoci la somma di settanta pesos, oltre il pasto e gli extra che potevamo ottenere. Gardel si mostrò incredulo, dubitava se la remunerazione fosse giornaliera o mensile e quando seppe che era a giornata, esclamò letteralmente: 'Per settanta pesos al giorno vengo a lavare i piatti !'…"

    Al debutto all'Armenonville vi fu un'ovazione del pubblico alla loro esibizione. Razzano ha ricordato che, mentre venivano portati in trionfo, Gardel gli disse. "Guarda Josè, io credo che ci stanno prendendo in giro! E lo credeva veramente…".
    Però ancora Gardel non era esattamente Carlos Gardel. Cioè quel ammirato protagonista del tango: "Nel teatro Esmeralda (oggi Maipo) Gardel inaugura il tango che andrà a segnare una tappa della sua vita, fa conoscere quelle canzoni tristi dove un uomo piange l'assenza della compagna e attraversa con occhi addolorati la solitudine e il disordine della sua abitazione:

Percanta que me amuraste                                     Donna che mi abbandonasti
En lo mejor de mi vida                                              sul più bello della mia vita

[ Mi noche triste, 1917, musica di Samuel Castriota, testo di Pascual Contursi ]

    Con la voce di Gardel, esploderà, appena concluso il tango Mi noche triste (che prima si chiamava Lita), una compatta, sostenuta ondata di applausi. Ed è in quella notte del 1917, precisamente, che il nome di Gardel entrerà per sempre nella devozione popolare…"

    Certo che non tutto era un successo in quegli anni. José Razzano ricordò una volta: "Gardel ed io ci trovavamo alla ventura a Rosario. Dovevamo esibirci in un cine del centro ma l'impresario fece delle difficoltà e così ci ritrovammo con pochi soldi che non bastavano per pagare una camera nel più modesto alloggio. Il nostro salvatore fu Carlos Morganti, il caro attore e amico, che anche lui in quel periodo cominciava la sua attività artistica giovanile in una compagnia da quattro soldi. Ci portò in un solaio che occupava nei fondi di una casa della periferia di Rosario, e in un piccolo letto di ferro dormimmo in tre, di traverso, con le gambe penzolanti che coprivamo con le nostre giacche…"

    Ma è in quegli anni che successive esibizioni nei palcoscenici e nelle caffetterie, oltre a diverse trasferte, collocano il nome del duo al centro della popolarità. Qualcosa dovette rovinare senza dubbio le felici prospettive di quel periodo: "La malattia del suo compagno Razzano [ricordano le cronache de La Nacion] lascia solo Gardel"
    E Garcia Jimenez commenta: "Razzano aveva allora la dolorosa convinzione che mai più la sua voce sarebbe tornata ad essere come fu"

    Ed è così che il giorno diciassette Ottobre del 1925 Gardel deve partire solo per l'Europa, a imporre la sua arte di cantante, però da solo, lontano dall'uomo conosciuto quindici anni prima in una casa dell'Abasto. Tre anni più tardi racconta in una lettera a Razzano: "La vendita dei miei dischi a Parigi è fantastica. In tre mesi se ne sono venduti 70.000, sono esauriti e non bastano. Una rivista famosa, La Rampe, che esce in questi giorni in lussuosa edizione di fine anno, porterà in copertina la mia foto a colori. Inoltre vedrai che i cataloghi di dischi di Parigi - che ti mando - portano la mia foto in copertina. È bello cadere in piedi…"

    In un'altra lettera, datata i primi mesi del 1929, commenta: " In questo momento mi preparo per cantare al Teatro dell'Opera di Parigi, di cui da ragazzi parlammo tanto… Chi avrebbe pensato a Buenos Aires sedici anni fa, che sarei arrivato a cantare all'Opera, di fronte a tutte le personalità, cominciando dal Presidente della repubblica e i suoi ministri…"

    E aggiungeva:
"Sono la vedette, quello che attira la gente e fa una rivoluzione, perciò mi chiedono dieci bis. Il pubblico e i giornali mi considerano straordinario, nonostante il problema dell'incomprensione della lingua, ma loro dicono che capiscono tutto dalla espressioni del viso…"

    I successi dei palcoscenici, l'arrivo agli schermi, le abbondanti incisioni fonografiche costruiscono o alimentano la fama di Gardel. Sottolinea de la Pua: "Gardel fu per molti anni il ragazzo viziato dalla fortuna, ottenne prestigio, denaro, popolarità, però malgrado questo, e facendo onore ai suoi generosi sentimenti, non cessò mai di essere bohemien e non dimenticò mai quelle qualità del Morocho e avrebbe sempre avuto le braccia aperte per icevere un amico, per quanto povero o rovinato questo potesse essere…"

    Questa immagine di Gardel eternamente buono e simpatico, il cui sorriso è talvolta tanto famoso quanto il suo nome, non è stata accettata da tutti. José Razzano dichiarò una volta: "Coloro i quali dividevano con lui le grandi riunioni che lui stesso provocava - inesplicabile voglia di stordirsi - lo credevano gioviale, espansivo. Lo stesso pubblico lo vide sempre sorridente. Però quelli che coltivavano la sua amicizia, lo conoscevano introverso, assorto e in alcuni momenti contemplativo. , portandosi sempre dentro qualcosa come una tristezza nascosta, oscura, come i vicoli dei quartieri valorosi cantate nelle sue canzoni. In fondo era un bambino. Tanto improvvisamente lo prendeva l'abbattimento quanto lo assaliva un'ansia incontenibile di tronfare. Io posso dire di averlo conosciuto bene. "

    Altra testimonianza del comportamento intimo del cantante è offerta da Vicente Padula [attore]: "È stato, nel nostro paese, probabilmente l'attore che ha avuto più ammiratrici. A Parigi, meglio non parlarne, e riguardo a Nueva York, inutile dirlo. Senza dubbio Carlos Gardel non si innamorò mai di alcuna donna. Almeno questo mi confessò una notte in Spagna e quando io gli confidavo una 'cotta'. 'Di tutte le donne vale la pena innamorarsi, ma dare l'esclusiva ad una è fare un'offesa alle altre'. Si girò e lanciò un complimento 'porteño': era passata una madrilena…"

    Qualcosa di simile afferma F. A. Marini, l'autore del testo del tango El Ciruja:
"Gardel viveva stranamente solo. Però aveva un cieco terrore della solitudine e per questo cercava continuamente di essere circondato da amici. Lo incontravo a volte quando usciva da teatro e mi chiedeva di accompagnarlo, come se qualcosa lo spaventasse o se avesse bisogno di allontanare qualche segreto cruccio nel rumore o nella conversazione altrui…"

    Il caso di Gardel ha originato un'ampia letteratura che include aneddoti falsi e veritieri, opinioni fondate o arbitrarie, valutazioni molto diverse. Tuttavia tutta questa letteratura concorda con l'evidenziare l'essenziale: la singolarità spirituale e artistica del cantante. Nelle parole di Carlos Maggi [scrittore, drammaturgo, giornalista uruguayano] :
"…così come un povero a Nueva York è sempre un matto pericoloso, tra di noi quello che non ha sete di mate, né orecchio di tango, né vacche nell'anima, sarà un esiliato, cioè: un fantasma, un uomo fuori dal suo posto e dal suo tempo…"

    Per Francisco Espínola [scrittore, giornalista, professore uruguayano], Gardel merita un'altra considerazione. "Forse non c'è nella lingua spagnola un attore o cantante che superi il suo scrupolo nell'articolazione dei vocaboli. Nel trionfare in ogni mezzo di comunicazione emergente in cui si esibì, non si sottomise all'influenza di nessuno di essi. Li influenzò tutti. Io conosco pochi uomini che siano cambiati meno. In lui non c'è cambiamento, c'è evoluzione. E questa sì, incessante fino al perfezionamento dell'artista e della persona…"

    Però tanto importante quanto le opinioni che suscitò Gardel, sono le parole stesse del cantante. Riferendosi alle sue fatiche di compositore, per esempio, sottolinea:
"…desidero essere l'interprete del sentimento del popolo…le mie canzoni recenti Cuesta Abajo e El dia que me quieras esprimono chiaramente l'attuale tendenza, ciò che piace ora…Il gusto del pubblico in questi giornisi simbolizza nel vals, nel fox-trot, nel tango, nella rumba, etc. ed è lì la ragione per cui compongo io questo tipo di musica, oltre al fatto che anche personalmente la preferisco… tuttavia, se il pubblico sentisse un'inclinazione per la musica classica, questo risulterebbe dall'ispirazione dei musicisti…"

    In un'altra occasione, alla vigilia di una delle sue tournèe all'estero, dichiarò:
"Buenos Aires è molto bella, caro…La sua Corrientes y Esmeralda ha un incanto indefinibile e poderoso che ci lega con un laccio di acciaio… Ma quando si ha cosciuto Parigi, quando si è visto cos'è la Costa Azzurra, quando si sono gustati gli applausi dei re, non soddisfa del tutto… Non che non mi piaccia, tutt'altro… Però stanca…È terribilmente monotona la nostra città. E la colpa è degli argentini, ostinati in una serietà funerea… Qui la gente ride con vergogna, chiedendo scusa per l'abuso… In Europa invece tutti sono più sciolti ...non c'è tanta rigidità… Si divertono tutti meglio là… Ma Buenos Aires è molto profonda nel mio cuore e se queste stesse parole le ascoltassi all'estero, mi saprebbero di eresia! Mi rivolterei contro chi si esprimesse così!"

    Ma tutte le parole, tra tutte le frasi che un giorno potè dire Gardel, nessuna sembra tanto breve e al medesimo tempo tanto drammatica come quella che pronunciò la notte del 23 giugno del 1935 a Bogotà e poco prima di continuare il suo giro del Centroamerica.
Volle allora ringraziare il fervente entusiasmo del pubblico colombiano promettendo che sarebbe tornato molto presto.
"Senza dubbio - aggiunse - l'uomo propone e Dio dispone. Addio..."

Cantò poi Tomo y Obligo, l'ultima canzone che sarebbe uscita dalla sua bocca. Il giorno dopo, un lunedì ventiquattro di giugno, saliva sull'aereo la cui meta non era la città di Cali ma la morte.

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