TANGO, CANZONE DI BUENOS AIRES
5 - Metafisica
In questo paese di oppositori, ogni volta che qualcuno fa qualcosa (un'ipotesi, una sinfonia o un progetto abitativo minimo), immediatamente spuntano mille critici che lo demoliscono con sadica minuziosità.
Una delle manifestazioni di questo sentimento di inferiorità dell'argentino (che si compiace di distruggere ciò che non si sente capace di fare) è la dottrina che svalorizza la letteratura di accento metafisico: dicono che è aliena alla nostra realtà, che è importata e apocrifa e che insomma è caratteristica della decadenza europea.
Secondo questa singolare dottrina, il "male metafisico" può coinvolgere un abitante di Parigi o di Roma. E, se si tiene presente che tale male metafisico è conseguenza della finitezza dell'uomo, c'è da dedurre che per questi teorici la gente muore solo in Europa.
A questi critici, che non solo si rifiutano di considerare la loro miopia come uno svantaggio, bensì, al contrario, la usano come strumento delle loro investigazioni, bisogna spiegare che se il male metafisico tormenta un europeo, dovrebbe doppiamente tormentare un argentino, dato che se l'uomo è transitorio a Roma, qui lo è molto di più, giacchè abbiamo la sensazione di vivere questa esistenza transitoria in un accampamento e in mezzo a un cataclisma universale, senza il sostegno di un eternità che lì è tradizione millenaria.
Quanto sarà vero tutto ciò se persino gli autori di tango fanno metafisica senza saperlo.
È che per i critici menzionati la metafisica si trova solo in ampi e oscuri trattati di professori tedeschi; quando invece, come diceva Nietzsche, sta in mezzo alla strada, nei guai del piccolo uomo in carne e ossa.
Non è questo per noi il luogo nel quale esaminare in che maniera l'inquietudine metafisica costituisca la materia della nostra migliore letteratura. Qui, vogliamo segnalarlo, semplicemente, in questo umile sobborgo della letteratura argentina che è il tango.
La crescita violenta e tumultuosa di Buenos Aires, l'arrivo di milioni di speranzosi esseri umani e la loro quasi invariabile frustrazione, la nostalgia della patria lontana, il risentimento dei nativi contro l'invasione, la sensazione di insicurezza e di fragilità in un mondo che si trasformava vertiginosamente, il non incontrare un senso sicuro dell'esistenza, la mancanza di gerarchie assolute, tutto questo si manifesta nella metafisica del tango. Melanconicamente dice:Borró el asfalto de una manotada, L'asfalto cancellò con una manata,
la vieja barriada que me vio nacer. . . il vecchio quartiere che mi vide nascere...[ Puente Alsina 1926, musica e testo di Benjamín Tagle Lara ]
Il progresso che a mazzate imposero i conduttori della nuova Argentina non lascia pietra su pietra. Che dico: non lascia mattone su mattone; materiale questo tecnicamente più fragile e, di conseguenza, filosoficamente più angosciante.
Niente permane nella città fantasma.
E il poeta popolare canta la sua nostalgia del vecchio Café de los Angelitos:Yo te evoco, perdido en la vida, Io ti evoco, perso nella vita,
y enredado en los hilos del humo. e inretito nei fili di fumoE, modesto Manrique suburbano [*], si chiede:
¿Tras de qué sueños volaron?... Attraverso quali sogni volarono?
¿En qué estrellas andarán? Su che stelle cammineranno?
Las voces que ayer llegaron le voci che ieri arrivarono
y pasaron y callaron, e passarono e tacquero,
¿dónde están?, dove stanno?
¿por qué calles volverán? per quali strade torneranno?[ Cafè de los angelitos, 1944, musica e testo di José Razzano e Cátulo Castillo ]
Il porteño, come nessuno in Europa, sente che il tempo passa e che la frustrazione di tutti i suoi sogni e la morte finale sono i suoi inevitabili epiloghi. E coi gomiti sul marmo del tavolino, tra bicchieri di Semillón [vino] e sigarette di tabacco scuro, meditativo e amichevole, chiede:
¿Te acordás, hermano, qué tiempos aquéllos? Ricordi fratello, che tempi quelli?
[Tiempos viejos, 1926, musica: Francisco Canaro, testo: Manuel Romero]
O con cinica amarezza sentenzia:
Se va la vida, se va y no vuelve. Se ne va la vita, sene va e non torna.
Lo mejor es gozarla y largar E' meglio godersela e lasciare
las penas a rodar. che le pene se ne vadano.[Se va la vida, 1929, musica: Edgardo Donato, testo: María Luisa Carnelli]
Il Discepolín di Horacio Ferrer [*], vede vecchia, sfocata e stropicciata la donna che in un altro temp amò. Nel testo esistenzialista dei suoi maggiori tanghi, dice:
¡Cuando manyes que a tu lado Quando capisci che vicino a te
se prueban la ropa si provano i vestiti
que vas a dejar. . ., che dovrai lasciare...
te acordarás de este otario ti ricorderai di questo stupido
que un día, cansado, che un giorno, stanco,
se puso a ladrar! si mise a guaire !["Yira yira", tango 1930 musica e testo di Enrique Santos Discepolo]
L'uomo del tango è un essere profondo che medita sul passare del tempo e su ciò che alla fine questo passare ci porta: l'inesorabile morte. E così uno scrittore quasi sconosciuto mormora ombrosamente:
Esta noche para siempre Questa notte per sempre
terminaron mis hazañas. finirono le mie imprese.
Un chamuyo misterioso Un mormorio misterioso
me acorrala el corazón. .. mi stringe il cuorePer terminare dicendo, con la sinistra arroganza del porteño solitario:
Yo quiero morir conmigo, Voglio morire con me stesso
sin confesión y sin Dios, senza confessione e senza dei,
crucificado en mi pena, crocifisso nelle mie pene,
como abrazado a un rencor. come abbracciato a un rancore.["Como abrazado a un rencor", Tango 1930, musica: Rafael Rossi, testo: Antonio Podestá]
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[* Jorge Manrique, poeta spagnolo 1440-1479 ]
[* "Discepolin: poeta del hombre que esta solo y espera" libro di Horacio Ferrer sulla figura di Enrique Santos Discepolo ]